Si è detto che l’attacco di panico è il cosiddetto ‘terrore senza nome’, è angoscia, è più che solo ansia. Spesso le persone con attacco di panico finiscono per correre al pronto soccorso pensando di avere un attacco cardiaco.
Il dolore provato non è solo la paura della perdita totale del controllo psichico, ma anche fisico con tutta una sintomatologia fisica molto preoccupante per la persona, come ad esempio una forte oppressione al petto, tachicardia, sudore freddo, capogiri, senso di svenimento. Quando la persona arriva a consultazione non è minimamente consapevole di cosa potrebbe avere determinato lo scompenso angosciante; ha la sensazione che il tutto sia accaduto come un ‘fulmine a ciel sereno’. Per fare un esempio è un po’ come quel bambino che nel cuore della notte puntualmente si alza dal proprio lettino, attraversa il corridoio buio, per andare in quello più rassicurante dei genitori. Una notte si alza come al solito attraversando il buio per andare nuovamente nel lettone di mamma e papà, ma questa volta non lo trova, sparito, non c’è più. Quel bambino non può che provare un’angoscia così intensa da rimanere preda del terrore; appunto un terrore senza nome, senza fiato né respiro, senza aria.
Sembra che la reazione ad un evento che inconsciamente oggi è avvertito come angosciante risalga a epoche di vita lontane, a quando eravamo molto piccoli, di conseguenza affronteremo un avvenimento che razionalmente appartiene alla vita adulta, ma emotivamente viene affrontato come se fossimo bambini di due o tre anni.
A differenza degli stati ansiosi l’attacco di panico non sembra avere un oggetto della paura definito; anzi, esso è totalmente inconscio. Il sintomo in questo caso è decisamente simbolico. Per fare un esempio ricordo una paziente che ad un certo punto della sua vita e precisamente subito aver preso la patente inizia a sviluppare attacchi di panico in coincidenza di quando deve percorrere l’autostrada per recarsi a lavoro. Un lavoro che la porta lontano da casa, differentemente dalle sue abitudini legate alla ‘vicinanza’ a casa. La peculiarità del sintomo è che l’attacco di panico sopraggiunge in autostrada, non in una strada statale. Cosa rappresenta l’autostrada allora per la paziente? Perché il sintomo non si manifesta quando la persona è alla guida della sua auto in una qualsiasi strada? Lavorando con la persona è emerso che l’autostrada, più che una qualsiasi statale, rimanda alla sensazione di libertà, la quale, non appena viene percepita produce nella persona una situazione di allarme importante, quindi l’attacco di panico. Da piccola questa paziente si è trovata più volte di fronte alla responsabilità di badare alla madre, che spesso sveniva; responsabilità assegnatale dal padre che a volte doveva assentarsi per lavoro. Probabilmente, di fronte allo spavento e alla preoccupazione nel vedere il malessere della madre, la bimba si è sentita totalmente impotente o forse avrebbe voluto scappare, ma non ha potuto, pena la colpa temuta di abbandonare il campo. Nella mente di un bambino/a spesso si incistano delle fantasie traumatiche difficili da recuperare da adulti perché rimosse. La mente per difendersi dall’angoscia rimuove, ma può capitare che del ricordo spesso ne resti un rimasuglio percettivo che, se incontra nella realtà una situazione anche lontanamente simile alla situazione antica traumatica, riattiva l’emersione di qualche sensazione legata al ricordo traumatico. Per intenderci, è come se la nostra mente fosse una cassettiera ed i cassetti gli spazi in cui vengono riposti i ricordi; ora, se la rimozione dei ricordi spiacevoli ha avuto successo allora i sintomi non nascono, ma se per caso la difesa della rimozione non è riuscita completamente ecco il manifestarsi dell’ansia. Ovvero è come se l’ansia fosse il risultato di forze contrapposte che lottano nel non fare emergere il ricordo le une, nel farlo riaffiorare le altre. L’ansia quindi si esplica come un tentativo del ricordo traumatico di ritornare alla memoria. Un po’ come se uno dei cassetti del nostro mobile non riuscisse a chiudersi completamente perché c’è qualcosa, ad esempio un indumento che si è impigliato da qualche parte, che impedisce al cassetto di chiudersi bene. Il compito della psicoterapia è di andare ad aprire quel cassetto, vedere quale indumento non è stato riposto correttamente, riprenderlo, piegarlo nel modo corretto e riporlo nel cassetto in modo che questo si possa definitivamente chiudere.
Uno degli assiomi della terapia psicoanalitica è ricordare-ripetere-rielaborare. Solo ripescando il ricordo o la fantasia traumatica, ridefinendone il significato che fino ad allora era rimasto sconosciuto e oscuro perciò inquietante, solo allora, si può vedere lo sciogliersi definitivo del sintomo.