“Forse ho un tumore ai polmoni, dovrei smettere di farmi le canne o di fumare le sigarette…forse il motivo per cui non sono felice è che dentro di me so già che sono malato. E allora giù paranoie a fiumi . Pensavo di avere tutte le peggiori malattie del mondo. Anche solo un piccolo dolorino di un secondo alla testa era sufficiente per farmi pensare a un tumore” dice Checco, il protagonista del libro di Fabio Volo “E’ una vita che ti aspetto”. Viste le tante ansie che non gli permettono di avere una vita serena decide di affrontare l’amico medico, Giovanni, che contatta per un check up con l’attesa di ricevere una diagnosi infausta vista la sua paura di morire.
“Ma che paura di morire? – dice Giovanni- il tuo problema è proprio l’opposto, paura di vivere…hai quella maledettissima malattia molto diffusa del NON VIVERE…sei malato di NON VITA! Sei bloccato. Ti ricordi di quella frase di Oscar Wild? Diceva che vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, e nulla più. La tua vita adesso è priva di amore. Non ami il tuo lavoro, non ami una donna, non ami te stesso. Di conseguenza non ami il mondo”.
Francesco non è preparato a sentirsi dire che non ha nessuna malattia incurabile, tanto meno ad essere incitato a vivere! Inizia così un percorso interiore che lo porta momentaneamente ad allontanarsi dagli amici, dalle abitudini per entrare sempre di più in contatto con se stesso. Ciò che Fabio Volo fa vivere al suo protagonista potrebbe sembrare proprio ciò che accade in una buona psicoterapia e Giovanni, l’amico medico, potrebbe essere la trasposizione di un buon terapeuta.
Ecco cosa trova Checco durante il suo percorso:
“Volevo capire se potevo star bene. Se potevo liberarmi dalle mie ansie. Volevo sapere dove sarei finito se avessi continuato quel percorso. Volevo capire se era possibile costruire un’alternativa a quella realtà che ormai da troppo tempo non mi faceva essere felice. Tanto, cosa avevo da perdere? Più passava il tempo più cose imparavo su di me. Ma soprattutto imparavo a volermi bene. Mi stavo affezionando a me stesso. E questo nuovo sentimento nei miei confronti mi spingeva a fare cose stupidissime. Proprio come quando si va in giro a fare le bischerate con gli amici. Stavo vivendo una nuova adolescenza. Sarei andato tranquillamente con me stesso a suonare i campanelli e poi sarei scappato. Perché era quello il nuovo sentimento: voglia di scherzare e giocare con me. Il viaggio alla scoperta di me stesso era diventato un gioco divertente. Incontrarmi veramente per la prima volta. Mi ascoltavo e mi parlavo. Più giocavo dentro di me, più avevo l’impressione che quel gioco fosse infinito. Un pozzo senza fondo. Un universo. Questo amico ritrovato non mi faceva mai sentire solo, la solitudine aveva preso un significato diverso. Non mi spaventava più.
Io, l’io vero era come chiuso dentro ad un sarcofago. Ecco perché mi veniva da soffocare. Ecco perché avrei voluto strapparmi la pelle di dosso. Perché ero legato, bloccato, ingabbiato dentro di me. Come in quei film in cui nella testa del robot c’è un omino che lo guida. L’idea errata che avevo di me, mi spingeva automaticamente a rispondere a desideri e necessità che in realtà non erano miei”. (Tratto da Fabio Volo: “E’ una vita che ti aspetto”, 2003, Mondadori).
☎ 329-2177934
@ email: teresa.ingarozza@gmail.com