Come sarà la scuola dopo l’emergenza Covid?
Prima che iniziasse questa pandemia del Covid -19 ci si lamentava da più parti che la scuola non fosse più riconosciuta come luogo formativo, nel senso che gli insegnanti da tempo non si sentono più riconosciuti nel ruolo istituzionale, come figure degne di rispetto. La mancanza di riconoscimento a partire dalla famiglia era quasi sempre lamentata ed espressa da parte del corpo insegnante. “La famiglia tende a delegare alla scuola troppe funzioni ed anche la società chiede interventi formativi e preventivi di ogni tipo. Si tratta in realtà di funzioni che appartengono allo statuto educativo della famiglia e della società ma la delega alla scuola non viene riconosciuta ufficialmente e ciò porta alla denigrazione della competenza della scuola nella sua specifica area di intervento”, così disse qualche anno fa il Prof. Pietropolli Charmet (psichiatra e psicoterapeuta dell’adolescenza), fondatore dell’Associazione Il Minotauro, a Milano, in una intervista rilasciata per Il Domani d’Italia.
Le difficoltà create dall’epidemia mi hanno ulteriormente convinta invece dell’importante ruolo rivestito dalla scuola e, in particolare, dai docenti nell’ambito non solo didattico, ma emotivo e pedagogico. Lavoro nella scuola da diversi anni come referente dello sportello d’ascolto scolastico dell’I.C.di Almese in Val Susa a fianco di alunni e docenti, ma mai come in questo momento avverto notevole difficoltà e bisogno di sentirsi sostenuti. Il cambiamento determinato dal Coronavirus, anche nella scuola, ha avuto un impatto molto forte sulla quotidianità sconvolgendo abitudini ed equilibri. I cambiamenti subiti, la costrizione in casa per quasi due mesi, il lavoro di alcuni genitori che in molti casi si è proprio fermato e in altri in cui è stato trasposto a casa con lo smart working, la sospensione della libertà, hanno segnato la psiche di tutti e c’è da aspettarsi una risposta conseguente a livello psicologico che già in molti casi sta emergendo. Maggiori richieste di supporto psicologico rispetto ad un bisogno di sicurezza soprattutto da parte di alcuni ragazzini iniziano ad essere segnalate da più parti.
La scuola non era certo preparata a subire un tale cambiamento e in così poco tempo gli insegnanti si sono dovuti adattare a sistemi informatici mai visti in molti casi; penso ad esempio agli insegnanti più anziani abituati prevalentemente al cartaceo. Molte famiglie, soprattutto quelle più in difficoltà non hanno proprio avuto la possibilità di un computer e una connessione ad internet. La scuola là dove ha potuto è intervenuta fornendo queste famiglie degli strumenti necessari affinchè i bambini potessero seguire le lezioni. Ma ciò che sembra essere mancato un pò a tutti, alunni ed insegnanti, è il contatto, la relazione senza la quale non può avvenire una vera e propria trasmissione del ‘piacere’ di imparare.
Ricordo a questo proposito la Prof.ssa Daniela Lucangeli, docente di Psicologia all’Università di Padova, che sottolinea molto bene l’importanza dell’aspetto emozionale nell’apprendimento. L’atteggiamento dell’insegnante che mostra interesse per lo studente e l’accoglienza espressa dal suo sorriso determinano la propensione e la motivazione all’apprendimento. Come a dire che l’interesse verso la materia ed il piacere allo studio della stessa passano dalla ‘buona relazione’ alunno-insegnante.
Ma com’è la relazione oggi tra l’alunno ed il suo insegnante vissuta attraverso il computer?
In questo periodo storico la didattica a distanza sembra l’unica soluzione possibile, anche se con parecchia difficoltà. Spesso le connessioni non sono a tutti garantite; le lezioni vanno a scatti per chi ne possiede una normale, la rete che cade interrompe la concentrazione tanto dell’alunno quanto dell’insegnante.
Per ciò che riguarda i giovani si notano reazioni di ansia, stress o all’opposto, quasi il disinteresse da parte degli studenti o per altri ancora la nostalgia per la scuola tradizionale, dal vivo. Vista la generazione “tecnologica” forse ci si attendeva un adattamento maggiore alla scuola a distanza. Davamo per scontato che per i ragazzi ‘tecnologici e continuamente connessi’ mostrassero gradimento verso questo tipo di scuola bidimensionale.
Invece troviamo bambini disorientati davanti allo schermo di un PC, impacciati nel relazionarsi con la loro maestra in questo modo; ragazzi che perdono interesse verso la scuola perchè, come ha affermato una mia giovane paziente di 17 anni “riesco ad imparare solo se guardo negli occhi i professori”. E poi ci sono i ragazzi ‘romantici’ che esprimono una profonda nostalgia come traspare dalle parole di una lettera di un ragazzo di terza ginnasio pubblicata sulla Stampa. “Cara scuola, sapessi come ti hanno rimpiazzata! La chiamano “didattica a distanza”. Al posto del professore uno schermo, una voce. Parlano e noi, connessione permettendo, ascoltiamo. Ma la testa gira, va via, come i giga e il collegamento. La lavagna non c’è più. Non c’è il mio vicino di banco. Tutto è tanto, troppo lontano. Riprovi a concentrarti, fissi lo schermo, cerchi un sorriso nella webcam. “L’apprendimento non può essere solo la somma di una quantità di nozioni, messe in fila; deve essere condivisione, coinvolgimento.” Lo dicono tutti. Ma come si fa così? E se non capiamo? Dove sono finite le alzate di mano? Gli sguardi dei prof, quelli dei miei compagni, il suono della campanella? Dov’è la mia bidella preferita? Le relazioni che fine hanno fatto? Cara scuola, prima ci lamentavamo delle troppe ore passate tra le tue mura, ora iniziamo quasi a sognarle” (LA STAMPA 13 Aprile 2020).
Quali risvolti nel post-covid?
Bisogna tenere in considerazione un risvolto importante proprio di ogni evento traumatico ed il Covid per certi aspetti non è stato un evento meno doloroso e difficile di un terremoto o di un cataclisma o di una guerra (un mio paziente lo ha definito ‘guerra silenziosa’). Per fare comprendere meglio come si manifestano i sintomi conseguenti ad un forte stress si può pensare a quando facciamo un incidente. In prima battuta affrontiamo la situazione contingente, compilando ad esempio il CID; solo quando saremo rilassati e calmati dopo lo spavento iniziale ci renderemo conto di avere ricevuto il ‘colpo di frusta’. Gli effetti di un post trauma funzionano più o meno allo stesso modo. Si potrebbe sviluppare ansia, disturbi legati al sonno o alla sfera alimentare, in alcuni casi si ha la sensazione di perdita di interesse per la vita. Ora, il contraccolpo all’onda d’urto Covid come si potrebbe manifestare in un bambino, in un adolescente e in un adulto?
Sicuramente dobbiamo tenere conto di alcuni aspetti. Per ciò che riguarda i più piccoli, il periodo della quarantena ha visto molti di loro costretti tra le mura domestiche senza molta possibilità di movimento. Ricordo che gran parte dello sviluppo psicomotorio è profondamente influenzato e determinato dal movimento del corpo e dall’interazione con l’ambiente. I bambini più piccoli apprendono attraverso l’esplorazione di sé nello spazio. J.Piaget, psicologo e pedagogista svizzero (1896-1980) aveva teorizzato che la capacità cognitiva, e quindi l’intelligenza, è strettamente legata alla capacità di adattamento all’ambiente sociale e fisico da parte del bambino. Quando l’esplorazione dell’ambiente circostante viene ostacolata da un’onda d’urto come quella determinata dal Covid è possibile che si crei una sospensione nel normale sviluppo psicomotorio ed emotivo. Questo periodo di quarantena per molti bambini ha determinato la sospensione delle attività psicomotorie. I bambini più fortunati, con una casa col giardino, hanno potuto risentire meno della ‘costrizione’, per lo meno hanno potuto ossigenare i polmoni e muoversi di più potendo stare all’aperto.
Quei bambini che hanno risentito maggiormente della costrizione in casa potrebbero manifestare ansia nel ritorno alla cosiddetta ‘normalità’. Qualche giorno fa mi ha telefonato la mamma di una bambina di 9 anni preoccupata per la manifestazione di un’ansia esagerata della figlia. Abbiamo ipotizzato che la preoccupazione della piccola potrebbe essere riferita alla paura della separazione visto il ritorno al lavoro dei genitori. Ricordiamo inoltre che l’atteggiamento degli adulti sarà determinante nell’aiutare sia i più piccoli che gli studenti più grandi ad affrontare il ritorno a scuola. L’evento Covid, come qualsiasi evento traumatico, viene vissuto dai bambini soprattutto a seconda di come è stato affrontato dai genitori, quindi se i genitori sono in ansia anche il bambino lo diventerà in quanto è abituato a leggere la realtà attraverso le lenti genitoriali.
E per gli adolescenti?
Per alcuni ragazzi la chiusura forzata è stata un beneficio là dove già manifestavano insofferenza nelle relazioni con i pari o con gli adulti prima del Covid. Per cui l’isolamento ha semplicemente sospeso la difficoltà più o meno consapevole da parte di questi ragazzi; anzi per alcuni ha voluto dire sentirsi in sintonia col mondo circostante a sua volta isolato. Per altri invece si è manifestata una nostalgia inaspettata verso la scuola ed i compagni di scuola.
Inoltre la Fase 2 per molti ha significato tornare alla libertà, per altri invece ha voluto dire perdita della protezione della propria casa, sviluppando quella che è stata definita ‘sindrome della capanna’. Quindi ansia. Ciò è valso anche per gli adulti naturalmente. Attraverso riunioni sul web dedicate alle maestre e professori nell’aiutarli ad affrontare questa difficile situazione spesso ho rilevato un forte grado di stress. La pressione è determinata da diversi fattori: in primis la perdita dei confini di ruolo. Lavorando da casa, il ruolo di insegnante ed il ruolo famigliare si sono mischiati determinando la perdita di un confine di orario lavorativo (da 8 a 12 ore al giorno di lavoro); in secondo luogo molti insegnanti si sono sentiti subissati dalle richieste dei genitori entrati in crisi soprattutto in un primo momento trovandosi a gestire la relazione con i figli forse mai così ravvicinata come in questo periodo. Infine l’insegnante, per natura professionale, ha bisogno di creare il ‘prodotto concreto’ per poter vivere la sensazione di aver ‘fatto’. Per prodotto intendo gli argomenti della materia insegnata che si sarebbero dovuti affrontare durante l’anno e che se non vengono ultimati possono provocare un certo grado di ansia. Qui il prodotto si è reso difficile da dimostrare,perché il tipo di lavoro è cambiato; non ha più la classe davanti a sé, ma il lavoro singolo, alunno per alunno, quindi una mole di lavoro decisamente maggiore. Conseguentemente il grado di frustrazione nel non riuscire ad avere un ‘termometro’ di ciò che si è fatto ha costituito un’altra fonte di stress. Molti insegnanti lamentano perdita di sonno, aumento di ansia e disturbi legati all’alimentazione.
Cosa accadrà settembre, quando si tornerà tra i banchi di scuola?
Vengono in mente le parole di Giovanni Falcone: “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.” Avere coraggio quindi non significa non avere paura, significa piuttosto affrontare le paure e le emozioni che la situazione attuale suscita in noi. Pensando al rientro a scuola dovremmo pensare, come categoria di psicologi, a ‘sostenere’ prima di tutto gli adulti, che possano tornare ad avere fiducia in quanto portatori di esempio di forza di volontà, positività e vitalità. Rivisitare quindi la mission dell’insegnante, che non equivale solo a trasmettere nozioni o a portare a conclusione una linea guida ministeriale, ma diventare consapevole di essere portatore di messaggi di vita e di rivestire un’importanza tutta particolare sia per un bambino della scuola primaria sia per lo studente di scuola secondaria di primo grado.
Massimo Recalcati (psicoterapeuta e psicoanalista lacaniano) nel suo libro ‘L’ora di lezione’ ribadisce il rapporto magico che si instaura tra allievo e insegnante. Ricorda che un bravo maestro si distingue da come reagisce quando entrando in aula, prima di salire in cattedra,inciampa.“La prima reazione è quella di ricomporsi immediatamente e far finta che non sia accaduto niente. Questo non è interessante. La seconda è ricomporsi e mentre si ricompone getta uno sguardo nella classe per vedere chi ha osato deriderlo e poi prendere provvedimenti disciplinari. Nemmeno questa è la posizione auspicabile”.
“Il bravo maestro, dice Recalcati, è quello che inciampa e fa dell’inciampo il tema della lezione. I bravi maestri sanno inciampare. Non temono il limite del sapere. La lezione è un rischio ogni volta, ma i bravi maestri non temono la caduta”.
Quale impatto avrà questa ‘scuola a distanza’ per chi sta concludendo un ciclo di studi?
Ricordo brevemente che la conclusione di ogni ciclo rappresenta per il bambino e l’adolescente ciò che si potrebbe definire ‘rito di passaggio’ nel diventare grandi. I risvolti psicologici si potranno osservare solo nel tempo. Per chi conclude un ciclo di studi non ci potrà essere l’ultimo saluto segnato dal suono dell’ultima campanella. Penso ai bambini di quinta elementare e ai ragazzi di terza media soprattutto. L’ultimo saluto ci deve essere perché il rischio è che rimanga un sospeso, un filo invisibile che tiene uniti senza possibilità di sana separazione. In fondo la scuola affrontando la conclusione con i bambini e i ragazzi (feste di fine anno ad esempio con preparazione ed esposizione di lavori fatti durante tutto un ciclo di studi, dalla materna alle medie) è come se li ‘promuovesse’ a crescere e diventare grandi. Perciò gli insegnanti, anche se attraverso il web, sarebbe interessante che inventassero un modo per evocare il segnale, l’ultima campanella appunto. Magari un pezzetto di torta da mangiare tutti insieme davanti al PC ad esempio.
Anche se la didattica è a distanza e passa attraverso un computer gli adulti possono trasmettere lo stesso dei messaggi importanti e determinanti, utili al rito. Essere consapevoli del proprio ruolo aiuta sicuramente a superare le ansie e a porsi nel modo corretto. A tal proposito mi vengono in mente le parole di una maestra, che considero molto illuminata, la Dr.a Tiziana Giannini della scuola Anna Frank di Avigliana, quando all’inizio della pandemia mi disse: “ma non è importante in questo momento puntare sulla didattica, ma sul dialogo con i bambini, fare sentire loro che la maestra c’è. Anche i genitori dovrebbero metter da parte i compiti, non dovrebbero preoccuparsi tanto di far fare i compiti ai loro bambini, quanto piuttosto fare un dolce con loro, giocare insieme a loro. Questo è più importante in questo momento fatto soprattutto di ansia”.
In conclusione tutto si affronta e tutto si supera, ma a patto di poterne parlare affinchè l’ansia non determini tabù, luoghi taciuti, in cui il non detto lascia il posto a fantasie e paure. Il poter mettere a parola un vissuto, una emozione, è un importante passo nella rielaborazione di ciò che è accaduto. Il trauma per essere superato bisogna verbalizzarlo e ricordarlo; solo così può perdere la sua carica dolorosa. Questo vale tanto per bambini e adolescenti quanto per gli adulti.
T.I.
Sitografia
Bibliografia
Massimo Recalcati, “L’ora di lezione, per una erotica dell’insegnamento”, 2014, Einaudi editor
Pietropolli Charmet, M. Aime, La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio, Einaudi, Torino,
Pietropolli Charmet, “I nuovi adolescenti”, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
Daniela Lucangeli, “Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere”, Erickson
Peter Levine, “Trauma e memoria. Una guida pratica per capire ed elaborare i ricordi traumatici”, Astrolabio,2018
Piaget, J. (21013, ristampa). “La rappresentazione del mondo del fanciullo”. Bollati Boringhieri, Milano
Piaget, J. (2000).” Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia”. Einaudi, collana Piccola biblioteca Einaudi, Nuova serie, Torino.
Teresa Ingarozza, psicologa e psicoterapeuta,
socia co-fondatrice dell’Istituto Psicoanalitico Forbas (Corso Sebastopoli 286, Torino)