In occasione della ricorrenza della Giornata del 15 marzo per i Disturbi Alimentari dedico la mia riflessione
sullo stretto e antico legame che c’è tra emozioni e comportamento alimentare fin dalle origini del nostro sviluppo. Il cibo si sa è il primo evocatore del legame primario con la madre. Subito dopo la nascita il bambino incontra il seno materno, l’odore della sua pelle, il calore del primo abbraccio, la voce della madre non più ovattata dal suo ventre. L’attaccamento affettivo nasce principalmente da questo primo incontro e spesso segna un destino nell’atteggiamento che avremo poi nella nostra vita verso l’alimentazione. Il cibo riveste da subito un ruolo di gratificazione e appagamento; il sapore del latte sembrerà al bambino più o meno ‘dolce’ a seconda dell’atteggiamento amorevole e costante della madre. Una madre scostante e distratta o ansiosa farà sì che il bambino associ il sapore con la tonalità affettiva. Un latte offerto al bambino con la rabbia arriverà a questo insapore o amaro, un latte ‘buono’ sarà quello di una madre attenta, tranquilla e serena, che accoglie senza distrazioni. Questo potrà avere una certa influenza nella qualità del rapporto con se stessi e col cibo.
Molti disturbi del comportamento alimentare possono risalire ad un periodo così arcaico che spesso diviene difficile scardinare e scioglierne i nodi. La disregolazione alimentare in realtà è collegata al legame profondo con i nostri genitori. A volte può rimandare alla difficoltà nella separazione dalla madre come in alcuni casi di anoressia e bulimia, altre volte al tentativo di riempire il vuoto della mancanza di attenzione di genitori come nel caso di alcuni casi di obesità.
Dietro un sintomo c’è sempre un conflitto, anzi si può dire che il sintomo è sempre simbolo di un conflitto. Vi può essere un conflitto tra dipendenza-indipendenza oppure un conflitto sull’identità di genere, oppure ancora tra bello e brutto o tra il piacere ed il dovere e così via. Il conflitto si può manifestare sotto forma di rinuncia ostinata del cibo, oppure come ricerca bulimica o ricerca affannata e compulsiva di riempire un vuoto. Sta di fatto che spesso l’atteggiamento anoressico o bulimico o patologico potrebbe essere invece una difesa rispetto a ciò che non si vuol ‘sentire’. Venire a contatto con quella emozione significherebbe venire a contatto con un ricordo o una fantasia rimossi, che se portati repentinamente alla memoria rischierebbero di creare uno tsunami interiore non facilmente governabile. Perciò, come ricorda Recalcati, bisogna fare attenzione a smantellare di colpo un disturbo alimentare perché spesso è la difesa di qualcosa di più profondo. Il cibo esattamente come la sostanza nelle dipendenze mette a tacere un vuoto difficile da gestire da parte dei pazienti affetti da disturbi alimentari.
I cosiddetti ‘mangiatori emotivi’ sono appunto persone che di fronte a emozioni avvertite come troppo intense non riescono a sostare. Facciamo un esempio: una persona che inizia ad avvertire insoddisfazione nel proprio matrimonio teme di prenderne consapevolezza, perché potrebbe costringerla a fare una scelta. In questa situazione il cibo consolatore l’aiuterà a soprassedere nel prendere una decisione.
Altre volte, come nei casi di obesità, ci potrebbe essere una ferita grave alla propria autostima ed il peso a quel punto diventa un vero e proprio muro difensivo oltre il quale la persona non permette di andare. Potrebbe essere il caso di una donna abusata da bambina che ritira completamente le proprie pulsioni sessuali nascondendosi dietro la pesantezza di un corpo coperto di adipe, allontanando sia la possibilità di lasciarsi andare in una relazione sia l’avvicinamento a lei da parte di uomini pretenziosi.
Durante tutto questo anno di pandemia non a caso si è assistito ad un aumento di sofferenza tra cui questo del disturbo alimentare. Se prima l’ansia o il disagio avvertito poteva trovare soluzioni di scarico ad esempio attraverso il movimento, l’intrattenimento, la socialità, ora purtroppo molte persone sono ‘costrette’ dalle limitazioni imposte a venire a contatto con i suoni ed i rumori dell’inconscio. Là dove il mondo interno è governato da conflitti l’individuo vive più forte il disagio psicologico. Questo sta accadendo per molti adolescenti; la didattica a distanza togliendo loro la possibilità del confronto e della socialità, ma anche il limite delle attività sportive, così importanti a questa età, determina una permanenza oltremisura assordante con se stessi e col rumore interiore rischiando la confusione e la depressione. La psicoterapia in tal senso può essere un utile strumento di sostegno alla consapevolezza e alla costruzione di mezzi necessari a riconoscere senza paura le emozioni.
Ricordo un percorso terapeutico in cui ho potuto osservare l’importanza della comprensione del sintomo con la conseguente liberazione della persona dal conflitto. La paziente in questione alternava momenti di anoressia a quelli di bulimia. Sentiva di aver avuto da sempre un atteggiamento ambivalente nei confronti di sè, del suo corpo e del cibo. Durante il percorso sono emersi atteggiamenti ambigui dei genitori nei suoi confronti dai quali non si è mai sentita guardata con uno sguardo benevolo e costante. Sia la madre sia il padre proiettavano su di lei i loro stessi vissuti ambivalenti (la madre avrebbe voluto nascere uomo; il padre era un padre ‘bambino’ che non aveva elaborato una identità maschile matura) e con quelle immagini la ragazza aveva appreso ad identificarsi in modo distorto. Era arrivata ad avere difficoltà con la propria identità di genere, quindi quando dimagriva si sentiva più vicina ad una immagine maschile, quando ingrassava ad una femminile. La paziente si era identificata con quelle immagini interiorizzate ambivalenti che non facevano altro che farla sentire inadeguata. Il percorso finalizzato a separarsi dalle figure genitoriali, è stato utile sia a liberarsi dalle proiezioni dei genitori sia a costruire una nuova immagine attraverso cui sentirsi a proprio agio. La svolta decisiva avviene quando si rende conto che gran parte delle sue problematiche relative all’alimentazione dipendono in realtà da percezioni distorte del sè dei suoi stessi genitori. Come a dire che le difficoltà della percezione del corpo e dell’identità di genere non appartengono a lei, ma ai suoi genitori. Sciolto il nodo che la teneva legata al conflitto la giovane donna inizia a vedersi non solo più come figlia di sua madre e di suo padre, ma come una persona ‘nuova’ in grado di guardarsi con nuovi occhi, i suoi. Il conflitto interiore che si inscenava con abbuffate alternate a periodi di digiuno, non aveva più motivo di esistere una volta disvelato il suo significato. Finalmente la paziente ora è libera dalle catene dei suoi conflitti; riesce a tenere un equilibrio nella relazione con il cibo, ad avere un’immagine migliore e coerente di se stessa.
Ho voluto riportare questo esempio per fare vedere come un percorso terapeutico possa essere necessario a volte quando la persona ha difficoltà da sola a comprendere l’origine del suo malessere. Come si diceva inizialmente il cibo è spesso usato come difesa psicologica: ci abbuffiamo per consolarci di un lavoro che non ci soddisfa o nel quale non riusciamo ad esprimere il nostro talento, mangiamo tanto per riempire vuoti affettivi o perché viviamo di nostalgia, mangiamo per placare l’ansia o mettere a tacere la depressione. In tutti questi casi il cibo può creare una dipendenza. Finchè non ci fermiamo e non ascoltiamo ciò che arriva dal mondo interno difficilmente riusciremo a spezzare definitivamente le catene della sofferenza.
Bibliografia
Recalcati, M. (2002). Clinica del vuoto. Franco Angeli, Milano
Freud, S. (2014). Tre saggi sulla sessualità (Vol.507). Newton Compton Editori
Freud, S. (2010). Compendio di psicoanalis e altri scritti (Vol.133). Newton Compton Editori
Freud, S. (2012). Modi tipici di ammalarsi nervosamente. Opere vol.VI
Vanderrlinden, J., &, Vandereycken, W. (1998). Le origini traumatiche dei Disturbi Alimentari. Astrolabio Editore; Roma.
Quaglia, R., Longobardi, C., (2007). Psicologia dello sviluppo. Teorie, modelli e concezioni. Edizioni Erickson
1: Fernando Botero, “Woman eating”, 2001